IL TRIBUNALE

    Ritiene    di   dover   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 112, quinto comma del decreto del Presidente
della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, in riferimento all'art. 444
c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.
    Vanno chiariti i termini della questione.
    L'azione  dell'istituto  assicuratore per il recupero delle somme
erogate  e'  soggetta  al  termine  di cui all'art. 112, quinto comma
citato il quale testualmente dispone: «Il giudizio di cui all'art. 11
non puo' istituirsi dopo trascorsi tre anni dalla sentenza penale che
ha  dichiarato  non  doversi  procedere  per  le cause indicate nello
stesso articolo. L'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive
in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza
penale e' divenuta irrevocabile».
    Le  Sezioni  unite  della  suprema  Corte  hanno  chiarito (sent.
n. 3288  del  16  aprile  1997)  che  la norma contempla due distinte
fattispecie:  1)  quella della prima parte costituisce una ipotesi di
decadenza  dell'azione  e  sussiste  nel  caso  in  cui,  mancando un
accertamento  del  fatto  reato  in  sede  penale,  l'INAIL chieda al
giudice   civile   di   accertare   l'esistenza   del   fatto   e  la
responsabilita'  del  datore di lavoro; 2) quella di cui alla seconda
parte  costituisce  una  ipotesi di prescrizione e sussiste quando vi
sia stata una sentenza di condanna.
    Le  Sezioni  unite hanno avuto cura di precisare la ratio di tale
interpretazione  e  della  differente  natura  dei termini: la natura
decadenziale  del  termine,  nell'ipotesi di mancanza di accertamento
del fatto reato e della responsabilita' dell'imputato in sede penale,
e'  posta  a  tutela  della  posizione  del  datore  di lavoro che ha
interesse a vedere definita rapidamente la propria posizione ed a non
vedersi procrastinare a lungo lo stato di incertezza mediante ricorso
al  compimento  di  atti  aventi effetti interruttivi del corso della
prescrizione; al contrario, nell'ipotesi in cui in sede penale vi sia
stato   l'accertamento   del  fatto  reato  e  della  responsabilita'
dell'imputato,  gli  inconvenienti  suddetti  non  sussistono, con la
conseguenza che il termine triennale va considerato di prescrizione e
suscettibile di interruzione.
    Dopo  l'intervento  delle  Sezioni unite, la suddetta distinzione
fra  termine  di  decadenza  e  termine  di  prescrizione nell'ambito
dell'art. 112, quinto comma puo' qualificarsi «diritto vivente» (cfr.
Cass., sez. lav. 5348/2005).
    Si  pone  allora  la questione se, in presenza di una sentenza di
patteggiamento,  venga  in  considerazione,  in  assenza  di espressa
previsione, un termine di decadenza ovvero di prescrizione.
    Ritiene  questo giudice che, a tal fine, sia necessario non tanto
valutare  se  la  sentenza  di patteggiamento sia assimilabile ad una
sentenza  di  condanna  ma  di  verificare  se  con  la  sentenza  di
patteggiamento sia compiuto un accertamento del fatto.
    La  suprema  Corte  (Cass.  5348/2005)  ha  sostenuto che, con la
sentenza  di  patteggiamento,  il  giudice  compie comunque, in forza
della  disciplina  dettata  dall'art. 444 c.p.p., un giudizio e si ha
pertanto  un  «accertamento  parziale  implicito»; con la conseguenza
che,  anche in tale ipotesi, e' configurabile il termine triennale di
prescrizione.
    Ritiene  questo  giudice che tale conclusione non sia convincente
atteso  che: 1) la tutela del datore di lavoro, alla luce della ratio
ispiratrice  della decisione delle Sezioni unite del 1997, implica la
necessita'  di  un  accertamento  pieno  del fatto; 2) la sentenza di
patteggiamento  e' invece caratterizzata «...da un profilo negoziale,
con  la  conseguente  carenza di quella piena valutazione dei fatti e
delle  prove  che  costituisce  nel  giudizio  ordinario  la premessa
necessaria   per  l'applicazione  della  pena...».  (Corte  cost.  11
dicembre 1995, n. 499).
    La  mancata  previsione  della  sentenza di patteggiamento fra le
ipotesi  in  cui,  in  assenza  di  un  accertamento  del fatto, deve
prospettarsi,  in  forza del richiamato principio di diritto vivente,
un  termine  di  decadenza,  pare  contrastare,  ad  avviso di questo
giudice,  con  i  diritti  costituzionali  ad  una efficace difesa in
giudizio  (art.  24  Cost.)  e  ad un ugual trattamento di situazioni
giuridiche consimili (art. 3 Cost.).
    Per  quanto  riguarda  il  primo  profilo,  il  datore di lavoro,
esposto  per  anni all'azione dell'istituto assicuratore, puo' essere
seriamente pregiudicato nell'esercizio di una efficace difesa, specie
in  una  materia  in  cui e' a suo carico il gravoso onere probatorio
dettato  dall'art.  2087  cod.  civ.;  per quanto riguarda il secondo
profilo  vi  e' una disparita' di trattamento fra situazioni analoghe
(sentenza  di  non  doversi  procedere per amnistia e morte del reo e
sentenza di patteggiamento, o tra questa e quella di condanna).
    La  questione  appare  rilevante  ai  fini  della  decisione  del
procedimento  in  esame:  nella  fattispecie  e'  in  discussione  un
infortunio  dell'11  marzo  1991;  la  sentenza  di patteggiamento e'
datata  16  dicembre  1992;  l'azione di regresso dell'INAIL e' stata
promossa con ricorso depositato in data 16 aprile 2003.
    L'accertamento  dei  fatti dovrebbe essere compiuto a distanza di
oltre 12 anni.
    Questo  giudice  non  ignora  che  la  Corte  costituzionale, con
ordinanza  3  maggio  2002,  n. 152,  ha  dichiarato  la  manifestata
inammissibilita'  della  questione  ora proposta, ravvisando una mera
questione   interpretativa   ed   osservando   che   il  giudizio  di
costituzionalita'  non puo' essere utilizzato «allo scopo di ottenere
dalla   Corte   un   avallo   dell'opzione   interpretativa  ritenuta
preferibile  e, dunque, per un fine estraneo a detto giudizio» (Corte
cost. ordinanza 3 maggio 2002, n. 152).
    Ritiene  pero' di dover riproporre la questione poiche' la stessa
non  pare  risolvibile  in forza di mera interpretazione: la Corte di
cassazione ha infatti avuto modo giustamente di ricordare, nella gia'
richiamata  sentenza  11 marzo 2005, n. 5348, che «la decadenza e' un
istituto di stretta interpretazione (art. 2968 cod. civ., applicabile
all'azione   di   regresso   dell'INAIL,  soggetto  al  principio  di
legalita)».